EchoEvent 2023. Una nuova era per lo studio degli UAP in Europa ha preso il via alla Sorbona
Segnatevi la data del 4 novembre 2023: è il giorno d’apertura della due giorni di Echo Event, alla sua prima edizione, tenutasi a Parigi e dedicata interamente al fenomeno UAP. Precisiamo che non si trattava di una location qualunque, ci trovavamo alla Sorbona, una delle università più antiche del mondo (fondata nel 1257), che ha accettato di ospitare un pannello di esperti internazionali di primo livello: dall'astrofisico e informatico Jacques Vallée all’astronomo Avi Loeb, dall’ex Vice Assistente Segretario alla Difesa per l'Intelligence negli Stati Uniti durante le amministrazioni di Clinton e George W. Bush, Christopher Mellon, al fisico e ricercatore in ingegneria presso il CNRS Philippe Guillemant, senza dimenticare altre presenze importanti come quelle del pilota Christiaan Van Heijst e di Michael Vaillant, per 15 anni al GEIPAN (parte dell'agenzia spaziale Francese CNES).
Un panel tanto ricco quanto noto a chi segue il fenomeno, per un evento reso possibile grazie all’impegno degli infaticabili Sarah Witeneim e Deïmian, che sono stati affiancati dal ricercatore inglese, Vinnie Adams.
UAP Education ha voluto esserci, scegliendo questa particolare occasione per avviare formalmente le proprie attività perché questo evento si sposa in pieno con la nostra missione, ovvero diminuire lo stigma che aleggia sull’argomento al fine di consentire a studiosi, accademici o ricercatori di diverse discipline di avvicinarsi al tema UAP per contribuire attivamente alla ricerca di un fenomeno che riguarda l’intera umanità, al punto da poter segnare una svolta nella nostra evoluzione.
“Scegliere la Sorbona è parte del messaggio - ci ha confermato Sarah Witeneim - innanzitutto perché è un centro di conoscenza universale, il cui prestigio speriamo possa contribuire a far evaporare almeno in parte lo stigma che circonda il tema”.
La Sorbona entra così nel novero di un ancora ristretta lista di università che si sono affacciate al topic UAP, come Harvard - dove opera Avi Loeb - e vogliamo sperare che questo evento possa essere un faro in grado di guidare altre istituzioni europee a consentire ai propri ricercatori di prendere parte a studi inerenti gli UAP”.
“Penso che questo sia stato uno degli eventi più prestigiosi di sempre - conferma Vinnie Adams, che ha egregiamente coordinato le operazioni sul palco spesso interagendo con i diversi ospiti e favorendo (come nel suo stile) un canale fluido e sempre aperto con il pubblico, accorso numeroso al punto da far segnare il sold out già diverse settimane precedenti - e avere 500 persone che entrano all’Universitá per apprendere di un tema come questo è sicuramente il segnale che sia stato un momento storico”.
Che il momento fosse storico lo ha confermato anche Christopher Mellon (Vice Assistente Segretario alla Difesa per l'Intelligence negli Stati Uniti durante le amministrazioni di Clinton e George W. Bush) che aprendo il convegno ha sottolineato come “da un lato la scienza ci conferma che la vita nell’universo non solo è possibile, ma anche che la troviamo sempre più vicina a noi (11.000 pianeti abitabili nel raggio di 326 anni luce e a soli 150 anni da noi K2-12B ha molecole di vita al suolo), dall’altro la reportistica sui casi è in aumento. I casi di UAP declassificati negli USA sono passati da 144 nel 2021 a ben più di 800 quest’anno”
Tutti sappiamo che dobbiamo a Christopher Mellon l’inizio di quel processo che dal 2017 non solo ha risvegliato il dibattito sugli UAP, ma lo ha portato ad essere nelle agende politiche ed istituzionali del Governo. E’ stato infatti proprio lui a trasmettere i tre famosi video della Marina Americana al New York Times. Quando però gli viene domandato se la disclosure - ovvero l’ammissione da parte del suo governo della vera natura del fenomeno UAP - Mellon si rivela più cauto: “Non avevamo un piano quando abbiamo consegnato i video, ma non ci aspettavamo che quella nostra unica possibilità potesse portare a dove siamo oggi. Tuttavia, stiamo parlando del lato politico della questione “disclosure”, che è sempre influenzata dalle amministrazioni che sono al potere, la cui durata è di cinque anni”. Si capisce che al termine di ogni amministrazione tutto possa cambiare, in un senso o nell’altro, e l’amministrazione Biden sta terminando.
Jacques Vallée, grande protagonista dell’evento -vuoi per la carriera lunga e prestigiosa, vuoi perché giocava nella sua terra natia (ora vive in California) - ha rimarcato l’importanza che un’altro braccio del movimento si debba muovere, quello scientifico:”Lo stigma sul tema in Francia è stato un problema. Abbiamo bisogno di persone con un diploma, una laurea che poi si dedichino allo studio del fenomeno. Servono 20 anni, ma dobbiamo iniziare ora.” Nella stessa tavola rotonda Mellon ha ricordato un caso emblematico di pochi mesi fa, quando la NASA nel presentare il proprio panel sullo studio degli UAP si è inizialmente rifiutata di rivelare il nome del suo direttore. Se non è stigma questa! E tutti ricordiamo che in quella conferenza stampa il direttore della Nasa aveva più volte rimarcato che proprio la rimozione dello stigma era uno degli obiettivi del panel NASA!
Il pilota di Boeing Christiaan Van Heijst, che dal 2021 ha con coraggio rotto la barriera del silenzio sugli avvistamenti di cui è stato protagonista consentendo così a moltissimi altri piloti privati di raccontargli e rendere pubbliche le loro storie, ha ricalcato le parole dei primi ospiti sull’argomento: “Eccome se c’è stigma! È spesso uno stigma autoimposto, che si presenta come una coperta di vergogna e si manifesta come la paura di svelarsi. È triste. Non sapete quale sia il sollievo che provano molti dei colleghi dopo avermi raccontato le loro esperienze… alcuni arrivano ad un pianto liberatorio. Sono momenti emozionanti”. Christiaan ci ha ricordato che “non esiste una reportistica per i piloti civili che incontrano UAP, mentre ne esiste una per i sistemi di sicurezza. In questo modo lo stigma che si crea è di tipo culturale”.
Un timore che non ha avuto il noto astrofisico, Avi Loeb (selezionato nel 2012 dal Time come una delle 25 persone più influenti negli studi sullo spazio), che si è collegato via video call con la sala per presentare il Progetto Galileo e la sua attenzione verso i fenomeni che riguardano gli oggetti interstellari. Tre gli eventi verificatisi dal 2014: due con caratteristiche anomale e uno invece con parametri compatibili con oggetti noti (cometa di Borisov). I primi due sono il famoso Oumuamua che Loeb pensa poter essere un manufatto, mentre il secondo oggetto è stato classificato come “IM1” e ha impattato la terra nel 2014 facendo registrare alcuni parametri anomali per un evento meteorico, in primis la velocità, cangiante lungo il tragitto. Avi Loeb ha raccolto 1,5 milioni di dollari per una prima spedizione al largo della Papua Nuova Guinea al fine di raccogliere eventuale materiale rilasciato con l’impatto di IM1. E ci è riuscito! A Parigi ha presentato alla platea i primi risultati su queste microsferule (circa 500 quelle raccolte con un diametro medio di mezzo millimetro) raccolte sul fondo del mare in sei giorni di spedizione. Le analisi sui reperti mostrano isotopi del ferro non terrestri e valori di alcuni componenti (ha citato Berillio e Uranio) con presenza fino a 100 volte superiore a quelle normalmente registrate su rocce terrestri.
Loeb ha giustamente rimarcato non solo quali difficoltà abbia incontrato a vedere pubblicati in peer review i suoi articoli sul tema, ma soprattutto quali i potenziali punti di fallimento della missione in Papua. Fare scienza significa rischiare. Dalle sue parole ricaviamo un messaggio rivolto a tutti gli scienziati di oggi e di domani: non è la paura del fallimento a doverli tenere lontani da ricerche su UAP, ma il piacere della scoperta, governato come sempre dall’instancabile motore della curiosità. Ogni fallimento sarà comunque d’aiuto per correggere il tiro e rendere il prossimo collega consapevole delle opzioni già tentate.
Loeb ha chiuso annunciando che sta lavorando a un software per identificare oggetti interstellari e, una volta pronto, si aspetta che questo sia in grado di individuare un oggetto di questa categoria ogni due settimane!
La due giorni di Echo Event ha riservato moltissimi dati al pubblico in sala (come quelli inerenti la quantità e la qualità degli avvistamenti raccolti, presentati da Luc Dini - che ha incluso una esauriente lista di gruppi di studio attivi in tutti e 5 i continenti - come anche da Micahel Vaillant che sta lavorando ad un nuovo database sulle migliaia di casi registrati non solo in Francia al fine da far emergere, se vi è, un pattern riconoscibile), ma anche alcune ricerche sull’ipotesi UAP. Presenze extraterrestri, multidimensionali o multi temporali, la cui manifestazione ha effetti sul coscienza e sul fisico di chi vi è esposto.
Il ricercatore svizzero Patrice Bonvin ha egregiamente presentato la storia recente degli studi sugli UAP, focalizzandosi di più sulla storia dello studio degli UFO negli Stati Uniti, aiutando così la platea a cogliere il collegamento con il progetto Manhattan, iniziato oltre 70 anni fa con più di 200mila persone coinvolte in quello che è il più famoso “black project” americano. Il termine “black project” si riserva ai progetti con il livello più alto di segretezza e i cui fondi non devono essere rendicontati nei particolari ai cittadini e il progetto Manhattan è legato a doppia mandata allo sviluppo della bomba H. Infatti, i file sugli UFO hanno lo stesso livello di segretezza del progetto Manhattan: un collegamento tra i due filoni è possibile, se consideriamo anche l’alto numero di avvistamenti UAP in prossimità di installazioni nucleari. Michael Vaillant ha mostrato diverse mappe a riprova del fatto che la numerica degli avvistamenti in Francia, da decenni, si impenna in prossimità di centrali nucleari o di basi militari con armi atomiche.
Grande interesse ha riscontrato anche Philippe Guillemant, che ha condiviso il suo lavoro di fisico e ricercatore presso il CNES francese, presentando la ricerca di Wojciech H. Zurek sulla decoerenza quantistica (Zurek ha presentato la teoria nel 2002 con questo articolo reperibile online) per applicarla allo studio degli UAP. La teoria della decoerenza afferma che tutti i sistemi fisici esistenti sono di per sé quantistici e che nell’interazione tra sistemi macroscopici avviene una perdita di informazione. Se il fenomeno UAP fosse in grado di agire nello stato di decoerenza, questo spiegherebbe molte se non tutte le caratteristiche del fenomeno: nessun rumore, dilatazione temporale nel soggetto, percezione di spazi differenti (es: dentro e fuori dello UAP)... In pratica gli UAP si muoverebbero al di fuori dello spazio-tempo e pertanto al di fuori della legge di gravità, che è determinata da quest'ultimo. Ed è la decoerenza che rende attualizzata la realtà, attraverso il nostro cervello. Per semplificare nuovamente, potremmo dire che la percezione che abbiamo della realtà dipende da un settaggio che può essere modificato. Quando ciò accade, il tempo si dilata e si entra in una differente realtà percepita, nella quale è normale che i luoghi intorno al testimone appaiano come deserti, che i motori delle auto si fermino, che vi sia una distorsione della voce e dei suoni, che vi sia uno spostamento avanti o indietro nel tempo o nello spazio… In definitiva, lo studio degli UAP può aprirci ad una nuova fisica, con notevoli ricadute per il benessere dell’umanità.
Lo stesso Jacques Vallée nei suoi interventi sul palco, ha tenuto a sottolineare come il cosiddetto processo di disclosure non passi solo dal congresso USA, in quanto si tratta di un percorso politico. Interpretando i suoi interventi, possiamo sintetizzare la sua speranza che si riesca a dare più spazio alla scienza, il cui processo di “disclosure” sugli UAP aiuterebbe la popolazione a cogliere ogni dettaglio del fenomeno prima che possa essere rivelato politicamente e quindi percepito come uno shock. Anzi, a fronte della democraticità della scienza, questo processo di disclosure potrebbe persino rivelarsi più veloce!
Chiudiamo questa breve rassegna dell’Echo Event 2023 proprio con Jacques Vallée, di certo il ricercatore più prestigioso al mondo fin da quando, al fianco dell’astronomo Hynek si avvicinò al tema negli anni Sessanta. Il suo intervento è stato vibrante, quanto pieno di ispirazione per chi lo ha ascoltato. Se nel corso della due giorni ha condiviso dei dati sostanziali (“potremmo avere 500.000 casi di avvistamento solo negli ultimi anni”), all’apertura della seconda giornata ha insistito su cosa voglia dire fare scienza. Nel team di ricercatori di altissimo livello che aveva assemblato nei suoi anni di Università presso Stanford (in una foto del 1968 da lui mostrata si riconosce anche Peter Andrew Sturrock, astrofisico britannico che continua ad interessarsi al fenomeno), aveva studiato molti casi di UFO, alcuni inclusi nel Project Blue Book. Anche il suo team era giunto a una spiegazione per il 90 o 95% dei casi. Ma una volta di più ha ricordato come quel 5% sia fondamentale. “Marie Curie - ha ricordato Vallée - vinse il Nobel per la chimica nel 1911 per aver scoperto il radio e il polonio, lavorando a pochi passi da qui, dalla Sorbona. E riuscì nel suo intento perché lavorò il 2% del materiale di scarto ottenuto dalle rocce che si era fatta portare in laboratorio. Il 2%... e ha cambiato il mondo”.
Non esistono parole migliori per chiudere questo articolo e rimandare alle interviste video fatte a molti dei protagonisti che pubblicheremo nei prossimi giorni sui nostri canali Instagram e YouTube.
Massimo Frera